Quante volte oggi ti sei detto “va tutto bene” sapendo che non era vero?
In questo articolo parlo di me e forse anche TE: non per dare risposte, ma per mettere domande dove di solito mettiamo certezze. Se ti risuona l’idea di guardare sotto la superficie — anche quando fa un po’ male — resta.
Qui entro nel vivo: cosa significa davvero parlare a un Dio che forse non esiste, ma a cui non puoi più mentire?
Una notte (quelle in cui il silenzio pesa più del sonno) ero in cucina, luce del frigorifero come unica candela. Avevo appena finito di recitare l’ennesima parte da “uomo che ce la fa” e mi sono accorto che stavo soffocando. Ho aperto il quaderno e ho scritto: “Dio, immaginario o no, oggi ti dico la verità: non so più chi sono senza le mie maschere.”
In quel momento ho capito quanto poco mi conoscessi. Non c’era nessuna rivelazione mistica, solo il suono secco della penna sulla carta e il bruciore nello stomaco. Ma lì, in quel millimetro di sincerità in più, è vibrato qualcosa.
Non ti chiedo di credermi. Ti chiedo di verificare se dentro di te c’è quella stessa vibrazione quando smetti per un attimo di recitare. Se la senti, anche appena, resta. È da lì che si comincia.
“Quando ho smesso di cercare segni fuori, ho iniziato a leggerli sulla mia pelle.”
— F.M.
Dopo quella notte ho provato a “stare zitto”. Silenzio, meditazione, respiri contati. Credevo bastasse togliere rumore. Ma il rumore tornava—solo più sottile. Allora ho fatto l’opposto: ho scelto l’azione. Ho inciso (letteralmente) un sigillo su un foglio: un segno che tenesse insieme un intento e un impegno. Ogni volta che lo guardavo mi chiedeva: “Lo fai davvero, o lo scrivi soltanto?”
E lì ho capito: non è né solo silenzio né solo fare. È un’oscillazione continua tra ascolto e gesto. Tra il lasciare andare e il prendere posizione.
C’è chi giura sulla disciplina ferrea, chi sulla resa totale. Io ho scoperto che entrambe, prese da sole, diventano gabbie. Il punto non è scegliere un campo, ma accorgersi di quando hai bisogno dell’altro: quando il silenzio diventa fuga, agisci; quando l’azione è isteria, fermati. È questo il “lavoro su di sé” che mi interessa: non un metodo blindato, ma un’attenzione viva.
E tu? In quale estremità ti nascondi più spesso—nel fare compulsivo o nel meditare per non sentire? Riconoscerlo è già uno spostamento.
Qual è il gesto minuscolo che oggi potresti fare per essere un po’ più vero/a?
Dove stai recitando ancora?
Cosa stai difendendo che non ti appartiene più?


Domande (per te, non per me)
Qual è il gesto minuscolo che oggi potresti fare per essere un po’ più vero/a?
Dove stai recitando ancora?
Cosa stai difendendo che non ti appartiene più?
Non è una ricetta, è un invito. Se qualcosa ti ha toccato, non lasciarlo evaporare: scrivilo, parlane, trasformalo in un atto. E se vuoi andare oltre:
- Leggi un estratto di Confessioni ad un Dio immaginario
- Scopri Il Segreto del Sigillo
- Iscriviti alla newsletter: ogni tanto condivido pratiche e domande scomode (senza spam)
Ci vediamo nel prossimo varco.

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